
Sulle Ande cresce spontaneamente un arbusto le cui foglie hanno magiche proprietà: gli indigenti della Bolivia, del Perù e della Colombia le masticavano traendone l'illusione di resistere alla fatica e di vincere i morsi della fame. Le foglie contenevano un alcaloide, la cocaina: era la droga dei poveri. Da tempo è la droga degli intellettuali, il capriccio dei ricchi. La sniffi e in tre minuti acquisti grande lucidità mentale, fiducia in te stesso, la sensazione di essere più forte. Conan Doyle la mise a disposizione del suo immaginario Sherlock Holmes facendone così l'investigatore più acuto di tutta la storia poliziesca. La prese anche Sigmund Freud, il padre della psicanalisi, per meglio comprendere i problemi suoi e del prossimo: scrisse persine un rapporto, "Ueber coca", in cui magnificava la "splendida eccitazione" che deriva dalla cocaina. Da parecchi anni la cocaina è entrata anche nel mondo dello sport, più come capriccio da ricchi che come strumento capace di fornire energia artificiale. Ne è infestato il mondo professionistico americano (basket, baseball, hockey, football), ne è stato contagiato quello europeo. Ne è stato contagiato anche il calcio, che nel mondo resta lo sport più popolare. Mara-dona è risultato positivo al controllo antidoping: analisi e controanalisi hanno evidenziato in modo inoppugnabile tracce di cocaina dell'organismo dell'atleta più osannato al mondo. Prima di Maradona, soltanto un altro calciatore era caduto nella stessa trappola: Hernani del Benfica, trovato positivo per cocaina nel 1989. «Un calciatore che prende cocaina» aveva detto due anni fa Manfred Donike, direttore del laboratorio di analisi antidoping di Colonia e ora perito di parte di Maradona. «va in campo più aggressivo. Nei primi 20-30 minuti gli effetti sono più consistenti, i pensieri corrono veloci, si sente di dominare il proprio corpo, si ha una maggiore creatività. Alla fine del 90' il giocatore però ha bisogno di una pausa di rilassamento più lunga del normale».