Sunday, December 25, 2022

Roberto Baggio “Vite L’arte del possibile”


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"Vies L'art du possible" est un cycle de dix entretiens consacrés à la réussite et à la capacité à y parvenir. Un portrait professionnel et personnel de grands Italiens qui se sont distingués dans leur domaine : de l'industrie au cinéma, de la science au style jusqu'à l'art et la littérature, se faisant connaître dans le monde entier.


È Roberto Baggio il protagonista del nuovo ciclo di “Vite - L’arte del possibile”. Il 'divin codino' si racconta a Giuseppe De Bellis in una location d’eccezione, l’aereo di linea che porta il suo nome e, tra ricordi, speranze e aneddoti, scatta una fotografia della sua vita dentro e fuori dal campo.
Dagli spalti del Menti, sognando Paolo Rossi. “Andavo con il papà la domenica in bicicletta a vedere giocare il Vicenza dove c'era anche Paolo e sognavo di diventare come lui” ad una carriera fatta di successi, duro lavoro, amore ma anche tanta sofferenza a partire da quel maledetto rigore a Pasadena che ancora fa fatica a dimenticare. “La gente mi ha sempre dimostrato grande amore, grande affetto per cui hanno capito la mia sofferenza, però sono molto esigente con me stesso… Avevo mille occasioni per sbagliare un rigore ma non dovevo sbagliarlo quel giorno”, fino al suo rapporto con la Nazionale, un amore viscerale che ha segnato una generazione e che si è concluso bruscamente con la mancata convocazione ai mondiali del 2002:


“È una ferita - ha ammesso - come tutte le ferite magari non si cicatrizzano mai fino in fondo, perché credo che quel mondiale era solo un premio per quello che avevo fatto e per quello che avevo dato alla maglia azzurra”. Una carriera straordinaria, quella di Baggio, che lo ha visto confrontarsi con le realtà dei più grandi club italiani: Juventus, Inter, Milan, ma anche con la provincia che lo ha tanto amato ed eletto suo beniamino. “L'anno di Bologna - ha raccontato - è stato un anno meraviglioso per tanti aspetti. Mi ha riportato in Nazionale e mi ha riportato alla gioia di poter vivere un altro mondiale. C'è stato un grande rapporto con la gente, veramente, io e la mia famiglia non ci siamo neanche accorti del tempo che passava”. Poi le ginocchia, gli infortuni, un calvario che più volte ha rischiato di piegarlo. "Quella purtroppo è una cosa che mi ha accompagnato sempre, io vivevo con questa spada di Damocle sulla testa in ogni allenamento e in ogni partita”, che però non sono riusciti ad offuscare un talento troppo cristallino per non poter brillare. Infine, l’addio a San Siro, in una giornata piena di affetto e commozione: “È stato commovente, ho sentito l’affetto di tutti i tifosi italiani”.


Su un suo ritorno nel mondo del calcio, magari da allenatore, risponde: “All’inizio volevo staccare completamente e volevo capire cosa fare da grande e poi sì, ogni tanto ti torna il desiderio, ci pensi e poi per fortuna rimane un pensiero. Bisogna essere portati per fare anche determinate cose e io forse non mi reputo all’altezza di farle”. Nell’intervista, il racconto di un calcio che è ormai storia e in cui persino lui dovette sgomitare per affermarsi, gli anni ’90 e la rivoluzione di Sacchi che “aveva creato questa scuola e tutti seguivano lui. Per cui, per chi aveva il mio ruolo, che non era ben definito, era difficile. Se penso a Zola che è dovuto andare in Inghilterra per giocare, rido. Penso che l'allenatore sia importantissimo ma il calcio lo fanno ancora i giocatori, per fortuna”. E alla domanda su quale sia stato il miglior Baggio risponde: “Quello di Vicenza. Perché mi ricordo che - senza presunzione - ero imprendibile”, un’ascesa interrotta dal primo grave infortunio della sua carriera. “Purtroppo sì mi sono reso conto che non ero più lo stesso, quell'incidente mi ha segnato per la vita”.


Dopo il ritiro, invece, la trasformazione. Baggio ritorna Roberto, salutando il campo con la consapevolezza di chi ha dato tutto e godendosi adesso la quiete e l’amore della sua famiglia lontano dai riflettori, nell’attesa di diventare nonno e riscoprendo ogni giorno il suo profondo amore per la natura: “Per me il fatto di stare a contatto con la natura, di lavorare, di tagliare le piante, di fare le cose che apparentemente per gli altri non hanno significato, mi fa arrivare alla sera sfigurato dalla fatica, ma realizzato. Hai fatto qualcosa che servirà alla tua famiglia, ai tuoi amici". Per quanto riguarda i desideri e i sogni per il futuro afferma di voler "vedere questo Paese come era una volta: invidiato da tutti. La speranza c'è sempre, non ci manca niente”. Tutto questo nel racconto di un uomo e un campione che ha lasciato un’impronta indelebile nella nostra storia, un eroe fragile che gli italiani hanno imparato ad ammirare e ad amare forse più per i suoi fallimenti che per i suoi successi. “Vite– L’arte del possibile” è un ciclo di dieci interviste dedicate al successo e alla capacità di raggiungerlo. Un ritratto professionale e personale di grandi italiani che si sono distinti nel proprio campo: dall’industria al cinema, dalla scienza allo stile fino all’arte e alla letteratura, divenendo noti in tutto il mondo.





























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