Thursday, April 22, 2021

Club Spotlight : "Milan Ventricinque"

  Sessant'anni fa, campionato 1950-51. Il Milan vince il suo primo scudetto del dopoguerra. L'allenatore è Lajos Czeizler, ungherese. Lo chiamano Zio, anche i giocatori. Conosce molte lingue e molto calcio e molti calciatori. Arriva dalla Svezia e porta Gunnar Cren e Nils Erik Liedholm. A Milano trovano Gunnar Nor-dahl. Il suo Milan diventa il bello e potente Milan del Gre-No-Li: due stagioni (di 38 partite l'una), 225 gol. «Lo sport illustrato», nei giorni delle celebrazioni tricolori, titola: «II Gre-No-Li incarna lo spirito Milan». E spiega: «E1 una grande famiglia, gli svedesi sono educati, forti e gentili e aiutano i giovani e i meno giovani italiani. Sono tutti uniti e non si demoralizzano mai, nemmeno nel finale che, con troppi risultati negativi, poteva diventare drammatico».
E' quello l'esordio dello Spirito Milan? Forse è nato negli anni Cinquanta. Forse a fine Ottocento, nella Fiaschetteria Toscana di via Berchet. Il Milan, racconteranno i testimoni dei tempi, i libri e gli analisti, è «fuoco, passione, amicizia, spirito di gruppo». Tutto questo accompagna i protagonisti nell'appassionante (e non sempre felice) storia. Il Milan, diranno, «è il Milan»: fede e traguardo. Per allenatori, giocatori e dirigenti. Negli anni Sessanta, a Milanello, ai cronisti che gli chiedevano chi avrebbe giocato domenica, Nereo Rocco rispondeva: «Zoga el Milan». Gioca il Milan. Era il Milan allegro di Rivera e Altafini, Cesare Maldini e Trapattoni. Poi del ragno nero Cudicini, di Giuanin Lodetti e di tutti gli altri «grandi uomini e grandi amici». Del dottor Gianni Monti, detto Ginko, che sorprendeva nella cucina del centro sportivo, alle 3 di notte, giocatori con panini con la mortadella fra i denti. «Oh, ma cosa fate? E' tardi, se vi scopre el paron...». E loro: «Ssst, Ginko, non dirlo a nessuno. Toh, mangia anche te». Poi si sentiva il vocione di Nereo e l'irruzione in cucina: «E' permesso? Posso aggiungermi a questa simpatica tavolata?». I grandi giocatori si facevano piccoli piccoli. E ilparon la buttava in ridere: «Dotar, la mortadella no. Ma, per caso, non è rimasto un goccio di quel rosso di oggi?». Era quello lo Spirito Milan? Sì, era quello. 

 Gente che si voleva bene, bravi giocatori e brave persone. Si facevano gli scherzi, poi lavoravano e sudavano e vincevano coppe, scudetti, trofei. Il Milan del grandissimo Rivera, il Golden Boy. Franco Baresi, detto «elpisciran», è il suo vero erede spirituale. Sono giocatori e uomini con stili diversi per tecnica, rabbia agonistica e temperamento. Ma Uomini Milan. Capitani per vocazione e acclamazione, dentro e fuori gli spogliatoi. Franco Baresi incarna lo Spirito Milan? Di più, molto di più. Franco Baresi va in B con il Milan, lo segue nelle due tremende discese con la sua fascia di giovane comandante. E poi risale e soffre, vive nella Milanello primi anni Ottanta. Una bettola: bar con juke-box aperto a tutti, si festeggiano comunioni e interminabili matrimoni padani, i giocatori sono costretti ad andare in ritiro a Gallarate. Giorni tristi. Ma Baresi dice e dirà sempre: «Il Milan non molla». E' il suo slogan.  Baresi non molla. Potrebbe andare lontano e in alto. Ma non salta fossi, non si far tentare dalle sirene e dai miliardi. Resta capitano da combattimento in moltissimi Milan di Berlusconi. Milanello cambia, la squadra si trasforma in una galleria di capolavori. Il Milan del primo periodo berlusconiano, con Sacchi e Capello, è, come racconterà Candido Cannavo, «una sconvolgente fusione di organizzazione, di saggezza, di realismo, di ricerca e di spirito di gruppo». 

 Lo Spirito è il proclama di Arrigo, che nei momenti difficili alza la testa e prende il megafono e ripete: «II Milan non tradisce mai». Lo Spirito sono le rumorose galoppate notturne di Ruud Gullit all'ottavo piano di un hotel di Belgrado nell'autunno del 1988. Si allena per tornare in campo dopo la partita della nebbia. Torna, sostituisce Donadoni colpito da un fallo criminale e salvato dal dottor Monti con la respirazione bocca a bocca. E Gullit gioca. Con Rijkaard e Van Basten. Con Frank che batte l'ultimo rigore della ripetizione, il giorno dopo. Toccherebbe al giovane Cappellini. E' quasi sul dischetto, il ragazzo, ma Frank gli dice spostati, tiro io. Lui che nelle partite ufficiali non aveva mai tentato il colpo. Breve rincorsa, tiro, gol, qualificazione. Poi lo Spirito entra in due coppe dei Campioni consecutive. E scudetti e altre coppe e altri ori. Lo Spirito è Capello che vince e stravince e tutte le volte dice: «Buon Milan». E1 Van Basten che piange e fa piangere tutti il giorno dell'addio. Poi, quando, più tardi, gli chiedono qual è il compagno che ricordi più volentieri, risponde «tutti, perché tutti erano meravigliosi amici, una bellissima famiglia di calcio con la maglia sulla pelle».  E quello Spirito del Milan, con quella maglia e quell'anima, è entrato nei gesti di Paolo Maldini. Nella filosofia del sopracciglio alto di Carlo Ancelotti, giocatore e allenatore. Negli occhi di Gattuso sotto la curva. Nei sorrisi di Kakà e Sheva e Ambrosini. Di Seedorf che va in panchina con Me-rkel in campo. E di tutti quegli uomini (in campo e non solo) che fecero le imprese. Sessant' anni dopo il Gre-No-Li molto, tutto forse è cambiato. Ma l'anima è rimasta. Zoga el Milan. Gioca il Milan.

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